Con il termine outsourcing (composto dalle parole ”outside” e ”resourcing”) si intende la scelta di affidare, interamente o parzialmente, ad un fornitore esterno delle attività di servizio interne ad un’organizzazione. Tale fenomeno ha acquisito maggior fama nei Paesi anglosassoni, principalmente negli Stati Uniti, a partire dalla crisi economica degli anni ’80. Dal punto di vista giuridico, l’outsourcing può essere meglio definito come “l’accordo con cui un soggetto (outsourcee o committente) trasferisce in capo ad un altro soggetto (outsourcer, provider, vendor, o partner) alcune funzioni necessarie alla realizzazione dello scopo imprenditoriale”.
Recentemente la Cassazione se ne è occupata definendolo come “il fenomeno che comprende tutte le possibili tecniche mediante cui un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi che sono estranei alle competenze di base (il core business)”, Sentenza n.21287/2006. A parte i casi in cui i servizi vengono resi da un piccolo imprenditore, e si ricade pertanto nel contratto d’opera, ex Art. 2222 Cod. Civ., normalmente, la fattispecie applicabile a questo tipo di contratto è quella dell’appalto ex Art. 1655 Cod. Civ. Il fornitore (outsourcee), o meglio l’appaltatore, assume pertanto l’obbligo di prestare a favore del cliente, o meglio il committente, i servizi concordati con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio. Si tratta quindi di un contratto con obbligazione di risultato, anche se non sono esclusi casi in cui, per tentare di limitare le responsabilità dell’appaltatore a fronte di eventuali inadempimenti, il contratto viene trasformato in appalto atipico, con prevalenza di obbligazioni di mezzi.
Il negozio non ha una disciplina specifica nell’Ordinamento Italiano ma i contratti più utilizzati per questo scopo sono: il contratto d’appalto; il contratto d’opera; la subfornitura. Delegare a fornitori esterni la gestione di attività considerate non strategiche per le imprese, costituisce l’unica via praticabile per raggiungere l’obiettivo di concentrarsi sul core business. Allo stato attuale le pratiche di outsourcing si vanno sempre più diffondendo tra le imprese, sia pubbliche che private, l’outsourcer viene visto come lo “specialista” nelle attività “trascurate” dal committente.
Questo fenomeno viaggia in parallelo con quello della riorganizzazione della produzione su scala globale, strategia a volte indicata con il termine global sourcing (approvvigionamento globale) ecco perché si accompagna spesso alla fase di trasferimento di azienda o di riorganizzazione, lo scopo precipuo di tale tipologia contrattuale è comunque quello di ridurre i costi ad appannaggio talvolta della spiacevole conseguenza della perdita del controllo e decentramento esterno di talune attività d’azienda. Quanto alla posizione del lavoratore, l’Art. 1406 C.C. attribuisce valore decisivo al consenso del contraente ceduto: in base all’Art 2112 C.C. il passaggio alle dipendenze del cessionario è automatico, e non richiede nemmeno una preventiva informazione dei lavoratori ciò anche come forma di tutela occupazionale ma in alcuni casi, il rifiuto del lavoratore può essere tenuto in considerazione se deriva da un effettivo peggioramento delle condizioni retributive e/o di lavoro, ovvero è comunque consentita in quanto parte delle sue libertà fondamentali di persona e dovrebbe tenersi conto dell’anzianità di carriera maturata fino a quel momento. La Corte di Giustizia UE ha delegato gli Stati membri a disciplinare le conseguenze giuridiche ed economiche del rifiuto di passare al cessionario. Nell’ordinamento italiano ciò configura giusta causa di licenziamento per il cessionario, e comporta la cessazione del rapporto di lavoro, mentre altrove, il lavoratore ha il diritto alla reintegra in altri reparti, in analoga mansione o in mansioni peggiorative nell’azienda cedente.