La sentenza della Cassazione, sez. VI n. 20401 del 12.10.2015, si pronuncia sulla latitudine applicativa delle clausole vessatorie e “spacchetta” l’art. 1341 comma 2 c.c. in due ipotesi, individuando da una parte le clausole “a vantaggio” del predisponente, e dall’altra quelle “a carico” del contraente aderente.
Il tema delle clausole vessatorie è da sempre dibattuto. Dottrina e giurisprudenza si sono spesso confrontate sulla loro latitudine applicative, mentre il legislatore ha provveduto a disciplinare un regime rinforzato per i soggetti “deboli” con il d.lgs. 206/2005, a dimostrazione di come l’argomento sia sentito.
Nello caso oggetto di attenzione la Corte assoggetta le clausole vessatorie previste dal codice civile a due regimi differenti, a seconda che la norma ponga in risalto la situazione di vantaggio o quella di svantaggio derivante dall’applicazione della clausola.
Quanto alle prime, si sottolinea che in tanto la clausola può essere considerata vessatoria, in quanto sia attributiva di un vantaggio esclusivo del contraente predisponente; qualora, invece, la situazione indicata avvantaggi anche l’altro contraente viene meno la vessatorietà.
Al verificarsi della situazione indicata entrambe le parti possono ottenere un beneficio, e dunque il predisponente non gode più di una posizione di vantaggio: la parità che viene a determinarsi rende la clausola non vessatoria, e conseguentemente fa venir meno l’operatività dell’art. 1342 c.c..
A titolo esemplificativo, rientrano tra le clausole “a vantaggio” del predisponente, e dunque non vessatorie, quelle che riconoscono la possibilità di esercitare il diritto di recesso.
Quando la clausola è “a carico”, invece, significa che il legislatore ha posto l’accento sulla posizione del contraente debole. In dette situazioni perde ogni rilievo l’indagine sull’unilateralità o bilateralità della clausola, perché ciò che conta è che la clausola imponga un determinato onere al soggetto non predisponente.
Anche dette clausole non sono sottratte alla regola (a pena di inefficacia) della specifica approvazione per iscritto, dal momento che “colui che la propone ha preventivamente valutato i vantaggi derivategli dalla accettazione di essa”; dunque è necessario che il contraente non predisponente vi ponga particolare attenzione.
L’ipotesi esaminata, ovvero quando è predisposta una clausola di proroga tacita o di rinnovazione del contratto, si è verificata proprio nel caso scrutinato dalla Corte di Cassazione,che per questo motivo è giunta a formulare il seguente principio di diritto, Le clausole di proroga tacita, o di rinnovazione del contratto, se predisposte dal contraente più forte nell’ambito di un contratto per adesione, rientrano tra quelle sancite a carico del contraente aderente e sono, pertanto, prive di efficacia, a norma dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., qualora non siano specificamente approvate per iscritto dal contraente aderente, anche quando hanno carattere di reciprocità e di bilateralità.