Per privatizzazioni si intende solitamente il trasferimento dello Stato ai privati di imprese, attraverso la cessione sul mercato di quote di controllo di tali imprese. Poiché le privatizzazioni passano attraverso la borsa, dobbiamo concludere che esiste un forte legame tra le privatizzazioni e il mercato azionario. Quest’ultimo è infatti lo strumento principale tramite il quale lo Stato procede alla cessione delle aziende ancora sotto il suo controllo. In Italia, poi, storicamente il legame privatizzazioni-borsa è stato vissuto in maniera ancora più forte che in altri paesi. È ormai comunemente riconosciuto che le privatizzazioni hanno contribuito in maniera determinante e decisiva all’avvicinare i risparmiatori italiani all’investimento azionario. Per anni infatti gli italiani hanno dirottato i loro risparmi sui titoli di Stato, remunerati con rendimenti a due cifre, per nulla attratti dalla borsa, un mercato fino a circa un ventennio fa – prima delle riforme che ne rivoluzionarono la sua operatività – era considerato secondo un comune punto di vista come asfittico e provinciale. A convincere i cosiddetti “Bot-people” a muovere i primi passi in borsa sono state proprio le dismissioni di Stato.
Un po’ di storia
In Italia il processo di privatizzazione è partito con forte ritardo rispetto agli altri paesi dell’Europa. Se si fa eccezione per la privatizzazione dell’Alfa Romeo, passata nel 1986 alla Fiat, la data di inizio delle dismissioni di aziende pubbliche nel nostro paese si colloca agli inizi degli anni ‘90. incalzato dalla crisi finanziaria e valutaria che in quegli anni colpì il paese, lo Stato finalmente decise, dopo anni di rinvii e tentennamenti, di rompere gli indugi. Lasciate da parte le ostilità alle privatizzazioni di certa parte del mondo politico, il governo italiano iniziò a mettere sul mercato i suoi gioielli di famiglia, con l’obiettivo di uscire da settori in cui la mano statale non veniva più considerata strategica. Mosso in tutto ciò da una necessità di sopravvivenza: fare cassa per ridurre il pesante indebitamento che si era accumulato negli anni passati.
Gli aspetti normativi
Dal punto di vista dei provvedimenti legislativi, le privatizzazioni prendono il via in Italia nel 1990 con la trasformazione delle banche pubbliche in Spa, ossia in società per azioni, la forma giuridica necessaria per poter approdare in Borsa, e che assoggetta le società alle norme del codice civile, ponendo inoltre sullo stesso piano i manager pubblici con quelli privati. Stessa sorte tocca, nel 1992, a Iri, Eni, Ina ed Enel, che vengono trasformate in Spa in attesa che venisse definito il piano di riorganizzazione di tali società con la definizione delle tecniche di vendita. Nell’anno successivo – e siamo al 1993 – viene soppresso il Ministero delle Partecipazioni Statali, ponendo fine ad una vera e propria epoca per lo Stato e l’economia italiana. Nel 1994 poi vengono finalmente definite le regole per la cessione delle partecipazioni azionarie e con la legge approvata in quello stesso anno viene introdotta la Golden Share a favore dell’azionista pubblico, una sorta di “super azione” attraverso cui lo Stato si assicura determinati poteri anche quando l’azienda è privatizzata. Sempre questa legge precisa che la privatizzazione delle società operanti nel settore dei servizi di pubblica utilità deve essere subordinata alla creazione di autorità di settore indipendenti. A tal fine, nel 1995 vengono istituite le Authority per l’energia, il gas e le telecomunicazioni.
Gli obiettivi
Gli obiettivi delle privatizzazioni sono stati ufficialmente dichiarati e indicati per la prima volta nel 1992 nel Libro Verde sulle partecipazioni statali, presentato dall’allora ministro del Tesoro Piero Barucci. Quattro sono gli obiettivi strategici indicati in esso. In sintesi: 1) miglioramento dell’efficienza nella gestione delle imprese da privatizzare; 2) accrescimento della concorrenza sui mercati; 3) ampliamento del mercato mobiliare; 4) promozione dell’internazionalizzazione del sistema industriale italiano.
Public company e Golden Share
La strada scelta dall’Italia per procedere alle privatizzazioni è stata quella, in prevalenza, del ricorso all‘Offerta pubblica di vendita (Opv), anche se non sono mancati i casi in cui si è deciso il ricorso alla trattativa privata. Quanto all’assetto societario delle aziende privatizzate, è possibile istituire tetti massimi alla partecipazione azionaria di singoli azionisti: ciò allo scopo di favorire la nascita di public companies, ovvero società in cui vi è un’elevata diffusione dell’azionariato tra i soci. Altra importante istituzione è la cosiddetta Golden Share, letteralmente l’azione d’oro, a favore dell’operatore pubblico. In pratica, lo Stato, pur cedendo il controllo delle proprie società, si riserva la possibilità di poter intervenire su questioni rilevanti attinenti alla vita della società anche successivamente alla sua privatizzazione. I poteri assegnati alla golden share sono particolarmente ampi e includono, tra gli altri, il gradimento da parte del Tesoro all’assunzione di partecipazioni rilevanti ed accordi che rappresentano una ventesima parte del capitale sociale, il diritto di veto su decisioni importanti per l’assetto societario, la facoltà di nomina di un amministratore nel consiglio di amministrazione e di un sindaco nel collegio sindacale. Gli anni principali in cui sono avvenute le privatizzazioni sono quelli compresi tra il 1991 e il 2001: a partire dal 1993 anche il settore agroalimentare è stato interessato da questi fenomeni